L'impero di Carlo V e la lotta per l'egemonia
l'ultimo grande tentativo di dar vita a una egemonia imperiale in Europa fu intrapreso nel 1519 da Carlo d'Asburgo quando fu eletto imperatore con il nome di Carlo V. Carlo V si trovò a governare oltre che sulla Spagna con i territori annessi di Napoli, Sicilia e Sardegna anche sulle terre familiari degli Asburgo in Austria e in Boemia, sulla Fiandra e i Paesi Bassi e sui territori appartenenti all'impero. Per diventare imperatore, Carlo aveva dovuto ingaggiare una lotta accanita con un altro candidato al trono, il re di Francia Francesco I. Se il re di Spagna poteva vantarsi di essere il nipote del defunto imperatore, il re di Francia aveva dalla sua l'appoggio del papa Leone X dei Medici timoroso che il sovrano spagnolo, già padrone dell'Italia meridionale, acquisisse anche la corona imperiale. Il vero protagonista di questa lotta fu il denaro: i 7 elettori cui aspettava la nomina misero letteralmente in vendita i loro voti, che Carlo acquistò a carissimo prezzo. Spagna e Francia erano le due più grandi potenze del continente e la loro fu una lotta per l'egemonia. Teatro ne fu l'Italia, che era sempre il paese più ricco, più popolato, più colto d'Europa. Per Carlo V aveva un'importanza strategica fondamentale il ducato di Milano, il cui controllo avrebbe messo in comunicazione i due nuclei principali del suo dominio, Spagna e Germania. Per il re di Francia era vitale impedire che esso cadesse in mani spagnole: la Francia ne sarebbe uscita territorialmente soffocata. Da questo scontro di interessi nacque la guerra. Una serie di insuccessi francesi culmino nella disfatta di Pavia delle 1525, nella quale lo stesso Francesco I cadde prigioniero. L'Imperatore pose sul ducato di Milano, Francesco II Sforza. Deportato in Spagna, lo sconfitto monarca francese fu costretto a firmare il trattato di Madrid con il quale in cambio della libertà si impegnano a concedere a Carlo V Milano e la Borgogna . Carlo V così sembrava davvero in grado di riunire il mondo cristiano su tutto il suo dominio. Tornato in patria, Francesco I, disse che il trattato di Madrid gli era stato di estorto sotto costrizione e di non avere alcuna intenzione di rispettarlo. La Borgogna così restò in mani francesi. Lo scontro tra le due potenze così proseguì con accanimento. Schiacciato dalla superiorità dell’avversario, Francesco I cercò di trarre a se tutte le potenze che,per un motivo o per l’altro, avevano di che temere dall’eccessivo rafforzamento di Carlo V. Diede quindi vita, nel 1526, a un’alleanza antiasburgica, la Lega di Cognac, cui aderirono Firenze, Venezia, il Ducato di Milano, il re d’Inghilterra Enrico VIII e il pontefice Clemente VII(prima uno dei maggiori sostenitori di Carlo).La decisione del pontefice ebbe gravissime conseguenze. Nel 1527 una massa di mercenari al servizio dell’imperatore, scese in Italia. Poi esasperati per il mancato pagamento posero di loro iniziativa l’assedio a Roma e la occuparono. Per circa otto mesi il pontefice, asserragliato nell’imprendibile fortezza di Castel Sant’Angelo, assistette al saccheggio della città, all’uccisione dei cittadini al linciaggio e all’umiliazione dei cardinali. Nella circostanza del sacco di Roma si vide anche quanto fragili e occasionali fossero state le motivazioni che avevano spinto i vari stati italiani ad aderire alla lega di Cognac: di fronte alla disperata situazione del papa Venezia occupò alcuni territori pontifici e Genova passò apertamente dalla parte di Carlo V, i fiorentini cacciarono i Medici e proclamarono una libera repubblica.. Tutti rincorrevano i loro interessi particolari, abbandonandosi ai più rapidi e spregiudicati voltafaccia. Intanto l'imperatore che temporeggiava, ufficialmente aveva condannato gli eccessi della soldatesca, ma in concreto non faceva nulla per indurre i mercenari a togliere l'assedio. A prendere tempo lo spingevano anche alcuni suoi consiglieri, che ritenevano opportuno sfruttare la drammatica circostanza dell'occupazione di Roma per imporre finalmente quell'ampia riforma della cristianità che il pontefice tardava a intraprendere e per ridurre il papa alle sole funzioni spirituali. Ma il prolungarsi dell'assedio finì, paradossalmente, per giocare al pontefice. La situazione, infatti, divenne pesante anche per gli stessi assedianti. Intanto cresceva ovunque, tranne che nelle regioni luterane, la protesta per la sorte del pontefice e si riteneva imminente un'azione militare francese per liberarlo. Carlo V e il papa intensificarono le trattative conclusesi con il trattato di Barcellona del 1529 con il quale Carlo V si impegnò a far restituire al papa tutte le terre che gli erano state sottratte e a ripristinare in Firenze il governo dei Medici in cambio ottenne il riconoscimento dei suoi possessi d'Italia e l'incoronazione dalle mani del papa. Nella pace di Cambrai dello stesso anno i due sovrani divisero le loro rispettive sfere di influenza: l’imperatore rinunciava, non senza un profondo rancore, alle sue pretese sulla Borgogna, mentre il re di Francia gli riconosceva il possesso di Milano. L'egemonia di Carlo V sembrava inattaccabile, tanto era apparsa chiara la sua superiorità politica e militare. Ma Carlo doveva ancora affrontare non poche insidie: la volontà di riscossa, delle re di Francia, l'agitazione provocata in Germania dalla diffusione del luteranesimo e un ultima, ma non meno pericolosa l'aggressione dei turchi ottomani. Gli ottomani dopo la promettente espansione delle 1453 che li aveva portati alla conquista di Costantinopoli avevano dovuto ritirarsi in Asia minore a causa dell'affermarsi della potenza persiana. All'inizio del XVI secolo essi però ripresero la loro penetrazione verso occidente così sotto il regno di Solimano I il magnifico raggiunsero addirittura il cuore dell'Europa. La pressione sull'Europa divenne anche un elemento di rilievo nel grande gioco politico continentale. Avvenne quello che, non era mai avvenuto: un re cattolico si alleò con gli infedeli contro un altro re cattolico. Lo fece Francesco I di Francia stringendo un accordo militare con Solimano, sultano dei turchi ottomani, contro Carlo V, re di Spagna e imperatore cattolico. Quando morì Francesco sforza duca di Milano per evitare che il controllo di quella regione strategicamente vitale per l'impero gli sfuggisse di mano, Carlo V la occupò militarmente. La sola iniziativa non faceva altro che dare corso ad una delle clausole del trattato di Cambrai, ma i francesi risposero riprendendo la guerra. L'intervento delle pontefice Paolo III - al quale stava a cuore la pace all'interno del mondo cattolico, alla fine di organizzare un efficace difesa contro i turchi e avviare un'ampia riforma della chiesa - portò alla tregua di Nizza del 1538, con la quale si riconosceva il dominio imperiale sulla Ducato di Milano e quello francese sulla Savoia. Tuttavia, Francesco I riaprì la guerra cogliendo al balso una nuova sconfitta subita dalla flotta imperiale nelle acque di Algeri, ad opera dei turchi. Ma quella del re di Francia fu una mossa avventata, che gli valse una nuova serie di sconfitte. Il re di Francia riuscì, però, a strappare ai suoi nemici una pace estremamente favorevole, che fu firmata a Crepy nella 1544: in questo accordo furono confermate tutte le condizioni della tregua di Nizza. Il successore Di Francesco I, Enrico II, riprese la guerra contro l'impero spostando l'asse delle conflitto dall'Italia alla Germania, dove infuriava sempre la lotta tra luterani e cattolici. Intanto in Italia la situazione si fece grave per gli spagnoli: la Corsica si ribellò a Genova, Siena cacciò la guarnigione spagnola, ma la ribellione fu domata dal duca di Firenze. La Spagna rielaborò la sua strategia organizzando il cosiddetto stato dei presidi, formato da un insieme di fortezza lungo la costa toscana. La diffusione del mito imperiale tra i contemporanei di Carlo V si spiega con l'esigenza di ordine in quanto la realtà del tempo appariva incerta e priva di stabili punti di riferimento: la crisi della chiesa, il tramonto del mondo feudale, l’appannamento dei vecchi valori. Dal punto di vista strettamente politico l'impero era, pur tuttavia, un anacronismo. Per quanto imponente, la compagine che Carlo V si trovò a governare era un agglomerato informe di popoli diversi per tradizione, cultura, lingua e soprattutto dispersi geograficamente. Il primo a rendersi conto di tutto questo fu lo stesso Carlo V. Egli decise anzitutto di risolvere diplomaticamente il conflitto con i principi protestanti tedeschi che si trascinava da tempo senza vincitori né vinti. La pace di Augusta del 1555 tra l'imperatore e la lega di Smalcalda (lega dei principi protestanti) sancì ufficialmente la divisione di fatto della Germania tra cattolici e luterani. Cosa del tutto nuova nella storia d’Europa, fu che i sudditi furono obbligati a seguire la confessione religiosa del loro sovrano. Con la pace di Augusta Carlo V rinunciò a imporre in Germania l'egemonia dell'impero in campo religioso e acconsentì a una più ragionevole politica di equilibri e di compromessi. Un passo ulteriore e ben più clamoroso l’imperatore lo compì l'anno dopo, quando abdicò dividendo l'impero in due tronconi: al fratello Ferdinando I lasciò la corona imperiale, le terre ereditarie degli Asburgo, le corone di Boemia e di Ungheria; al figlio Filippo II lascio il regno di Spagna con Milano e i tre viceregni di Napoli, Sicilia, Sardegna, i Paesi Bassi, le colonie americane. La guerra tra Francia e impero ebbe uno strascico nello scontro tra il monarca francese e Enrico II e il re di Spagna Filippo II. Le due potenze, in lotta da diversi decenni, erano ormai in logore, le loro finanze erano dissestate, il morale degli eserciti prostrato. Si giunse a un'ennesima pace, che fu conclusa ha Cateau-Cambresis nel 1559 e che regolò gli equilibri politici europei per circa mezzo secolo. L'accordo fu anche suggellato da due matrimoni dinastici: quello di Filippo II con la figlia di Enrico II, Elisabetta, e quello di Emanuele Filiberto con la sorella di Enrico II, Margherita.
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