martedì 2 novembre 2010

L'architetto


L'architetto
aspirante architetto e le sue caratteristiche


martedì 21 settembre 2010

Antoni Gaudí i Cornet


Antoni Gaudí i Cornet nacque nel 1852 a Reus, nelle vicinanze di Tarragona. Studiò a Reus e a Barcellona e sin dal 1869 si interessò di restauro, collaborando con vari architetti spagnoli e studiando l’opera di Viollet-le-Duc.
Del 1878 è la sua prima costruzione, la casa Vincens a Barcellona, in cui già si notano il suo amore per le architetture gotiche e moresche e il suo gusto per l’esuberante decorazione, ancor più evidenti nella successiva costruzione, il palazzo Guëll (1885-1889), anch’ esso a Barcellona, grandioso complesso, oggi in parte modificato.
Nel 1883 iniziò i lavori della chiesa della Sagrada Familia, sempre a Barcellona, che è il suo capolavoro, rimasto incompiuto. L’edificio è una geniale espressione di gusto neogotico e floreale; delle dodici torri previste, solo quattro furono compiute.
Progettò quindi la villa El Capricho a Comillas (1883-1885), costruì il già ricordato palazzo Guëll e il collegio delle Teresine a Barcellona, l’arcivescovado di Astorga, la Casa de los Botines (1892-1894) e la cappella Guëll a Santa Coloma, notevole per l’uso delle vetrate e delle maioliche colorate e per le originali soluzioni strutturali. La maiolica ebbe poi vasto impiego nel parco Guëll a Barcellona, opera famosa per la sua attraente originalità; qui l’ architetto abitò fino alla morte, che avvenne nel 1926. Morì investito da un tram, lasciando incompiute molte opere.
Ultime sue opere furono i lavori di restauro per la cattedrale di Maiorca, la costruzione della villa di Bellesguard (1900-1902) e delle case Batllò e Milà a Barcellona, ove prevalgono ritmi ondulati. 
Antoni Gaudí fu, insieme agli architetti belgi Victor Horta e Henry van de Velde e allo scozzese Charles Rennie Mackintosh, uno dei maggiori rappresentanti del movimento chiamato Art Nouveau. L’Art Nouveau
Gli anni di passaggio dall'Ottocento al Novecento sono contrassegnati da una crisi profonda. Da un lato prosegue l'ottimistica fede nel progresso scientifico, che appare inarrestabile e tale da portare a soluzione ogni problema umano. D'altro canto però ci si rende conto che questa "felicità" universale è solo apparente. Se la borghesia al potere è ricca, lo è sfruttando il lavoro delle classi subalterne, costrette a lottare per conquistare una migliore qualità di vita. E il progresso tecnico non è necessariamente legato al processo dell'umanità, anzi rischia di meccanizzare l'uomo uccidendone la spiritualità, cosicché sarà necessario, invece che considerare la tecnica come fine a se stessa cercare un "supplemento d'anima". È questa una delle aspirazioni di quella corrente culturale, che si manifesta dapprima e soprattutto in Francia, detta "decadentismo". È in questo clima decadente che nasce e si diffonde in tutta Europa il movimento detto Art Nouveau nei paesi di lingua francese, Modern style in Inghilterra, Modernismo in Spagna, Jugendstil in Germania, Liberty o Floreale in Italia. Dal punto di vista sociologico l'Art Nouveau è un fenomeno nuovo, imponente, complesso che dovrebbe soddisfare quello che si crede essere il "bisogno d'arte" della comunità intera. Interessa tutte le categorie del costume: l'urbanistica di interi quartieri, l'edilizia in tutte le sue tipologie, l'arredamento, urbano e domestico, l'arte decorativa e figurativa, la suppellettile, l'abbigliamento, l'ornamento personale, lo spettacolo. Per il modo in cui si diffonde è una vera e propria moda: nel senso e con tutta l'importanza che la moda assume in una società industriale anche economicamente. È il gusto della borghesia moderna, spregiudicata, entusiasta del progresso industriale, che considera un suo privilegio intellettuale, a cui corrispondono anche responsabilità sociali. 
 

Il Parco Guëll Una delle questioni più dibattute nel Novecento è quella dell’unità o della distinzione delle arti: se cioè le arti siano tecniche diverse con cui si realizza un valore unico e supremo, l’arte, o se ciascuna di esse realizzi valori distinti. Il problema è connesso con quello del rapporto delle tecniche artistiche con la tecnologia del tempo e con quello della funzione dell’arte nel mondo attuale. Nell’Art Nouveau prevale generalmente la tesi idealistica della dipendenza di tutte le arti, anche per Gaudì: ma con la differenza che l’unità è, piuttosto, unione. L’occasione per sperimentare la possibilità di questa somma (e non sintesi) è il Parco Guëll, che nell’ idea del committente doveva rientrare nel piano urbanistico di una città-giardino, alle porte di Barcellona. Il tema che Gaudì si propone è l’integrazione reciproca delle forme artistiche e delle forme naturali. Lo svolgimento riflette l’assunto religioso, che per Gaudì è fondamentale, indipendentemente dalle finalità della costruzione. Le forme della creazione sono infinitamente varie; poiché ogni freno imposto alla fantasia è un limite alla varietà delle forme, soltanto lasciando via libera alla fantasia si raggiunge quell’infinita varietà di forme che realizza l’accordo con la varietà infinita delle forme naturali.
Poiché la tecnica è al servizio della fantasia e la fantasia non ha limiti, i problemi tecnici che Gaudì deve affrontare sono più difficili di quelli inerenti ad una tecnica al servizio della ragione: non solo Gaudì è al corrente di tutte le novità tecniche del suo tempo, ma intende superarle, proprio per dimostrare che la tecnica ha un’ importanza relativa. Il Parco Guëll ha manifestamente un carattere ludico. La tecnica deve permettere la libertà assoluta del gioco. Le costruzioni sono volutamente pericolanti e sbilenche, sembrano sul punto di crollare o, poiché sembrano fatte di materiale molle, di sciogliersi come neve al sole. Stanno su per miracolo, e naturalmente è la tecnica dell’artista che fa il miracolo. Non soltanto Gaudì riunisce l’opera del costruttore, che definisce le strutture, quella dello scultore, che modella le masse, e quella del pittore, che qualifica le superfici mediante il colore; ma fa confluire nell’opera molte specialità dell’artigianato: mosaico, ceramica, ferro battuto, ecc. Ricostruisce così il tipo del cantiere medievale, in cui l’artista era il capo delle maestranze e non agiva come progettista, ma come un direttore d’ orchestra. 


 
La Sagrada Familia Il monumentale edificio del Temple Espiatori de la Sagrada Familia è l’opera più famosa di Gaudí, e più rappresentativa del suo genio, tanto da convertirsi negli anni in uno dei simboli più famosi di Barcellona. Il cantiere della chiesa aprì nel 1883, sul sito di un progetto neogotico precedente, e Gaudí vi installò il suo studio e praticamente vi si trasferì. L’artista catalano dedicò alla costruzione della Sagrada Familia, che doveva incarnare la sintesi del suo pensiero architettonico, tutta l’ultima parte della vita, profondendovi il suo spiccato sentimento religioso. Dopo la morte di Gaudí, nel 1926, i lavori continuarono, ma dovettero interrompersi negli anni della Guerra Civile Spagnola. Nel 1936, le note e gli appunti originari di Gaudí andarono perduti nel corso di un bombardamento. La costruzione dell’opera riprese nel 1952, e nel mondo dell’architettura si aprì un accanito dibattito sulla validità dei disegni e delle maquettes utilizzate per proseguire i lavori. Il progetto originario prevedeva tre facciate rispettivamente dedicate alla nascita, crocifissione e risurrezione di Gesù, e 18 torri destinate a rappresentare, oltre alla figura del Cristo, i dodici Apostoli, i quattro Evangelisti, e la Vergine Maria. L’unica facciata ultimata personalmente da Gaudí è quella della Natività, sul lato est mentre quella della Passione ad ovest, con le sue quattro torri, venne portata a termine tra il 1954 e il 1976. Nel 1987 lo scultore Josep M. Subirachs si unì al progetto. Oggi, il cantiere della Sagrada Familia è un sito di grande attrazione turistica, completato da un piccolo Museo, dove vengono illustrate ai visitatori le varie fasi, presente e future, della costruzione della cattedrale. Senza contare che dalle torri già ultimate si gode una bellissima vista di Barcellona.  

 


Otto Wagner


Otto-Wagner.jpgNasce a Penzing, un sobborgo di Vienna, da un'agiata famiglia borghese. Nel 1857 si iscrive al Politecnico di Vienna e nel 1860 si trasferisce a Berlino, per continuare gli studi alla Königliche Bauakademie. Qui seguì i corsi tenuti da Carl Ferdinand Busse, allievo di Schinkel. Nel 1861 tornò a Vienna e frequentò i corsi di architettura alla Akademie der Bildenden Künst, tenuti da August Sicard von Sicardsburg e Eduard van der Nüll, i celebri architetti che avevano progettato il Ring. Nel 1862 entra nell'atelier di Ludwig Förster. Nel 1894 diventa docente della classe speciale di architettura, presso l'Accademia delle Belle Arti di Vienna. L'incarico durerà fino al 1912. Nel 1899 aderì assieme ai suoi allievi Joseph Maria Olbrich (1867-1908) e Josef Hoffmann (1870-1956) alla Secessione viennese capeggiata dal pittore Gustav Klimt (in Austria l'Art Nouveau assunse caratteri peculiari a tal punto da essere considerata una variante autonoma della stessa che fu chiamata Sezessionstil).
 Otto Wagner e l’archittettura moderna.
Tuttavia il cambiamento è così radicale, da non consentirci di parlare di una rinascita del rinascimento. A proposito di questo movimento, si può solo parlare di nascita. Otto Wagner.
"Ma davanti al genio di Otto Wagner, io ammaino le vele", dichiarò Adolf Loos, l’inquieto e sempre polemico "rivoluzionario dell’architettura"; non potrebbe darsi attestazione migliore dell’importanza di questo artista.
Maestro di Hoffmann, Olbrich, Loos e Antonio Sant’Elia, egli getto le basi dell’architettura moderna. "Il ‘sogno’ di Wagner di diventare l’architetto della Ringstraβe, epigono dello sfarzo e dello stile di vita imperiale e alto-borghese, contrasta in modo stridente con l’Otto Wagner artista della costruzione, primo architetto della Vienna Moderna."
Wagner si cimentò ben presto con i concreti bisogni urbani, dal punto di vista pratico come quello teorico, nei progetti per le stazioni della metropolitana cittadina e per la Posrsparkasse (Cassa di Risparmio Postale), nonché nello scritto Moderne Architektur, del 1895. Negli anni dei suoi esordi aveva vissuto la trasformazione di Vienna in metropoli, a seguito delle monumentali opere edilizie – soprattutto sulla Ringstraβe – che ne avevano profondamente mutato il carattere. Egli, tuttavia, non ne fu coinvolto in prima persona; solo con i progetti per la metropolitana, nel 1894, potè fornire il proprio personale contributo alla configurazione del nuovo volto della città. I primi lavori da lui eseguiti presentano una veste stilistica storicista, con una particolare attenzione per l’architettura classica. Le forme, i dettagli, le planimetrie delle sue prime ville si basano sulle ville neo-rinascimentali del XIX secolo, ma denotano già una notevole chiarezza compositiva e costruttiva. Al pari di Berlage e Behrens, anche Wagner condusse un approfondito studio delle opere di Gottfried Sempre, le cui "lezioni" di storia lo incitarono, insieme ai suoi allievi, a non trascurare l’eredità architettonica per dedicarsi a opere volgari o, peggio, innocue.
Wagner, comunque, si dimostrò più interessato alla progettazione di "casermoni" che non a quella di abitazioni monofamiliari, preferendo dedicarsi alla ricerca di soluzioni per le esigenze abitative della crescente popolazione urbana. I due condomini costruiti da Wagner sulla Wienzeile e destinati all’affitto frazionato rappresentano una pietra miliare sulla via del riconoscimento alla "gente comune" del diritto al una vita dignitosa. Le facciate realizzate in stile Secessione, suscitarono grande per via del loro aspetto lussuoso. La casa che si trova al 38 della Linke Wienzeile sfoggiava medaglioni dorati e stucchi di Moser, mentre quella al numero 40 interamente rivestita di piastrelle di ceramica colorate, recanti motivi ornamentali di piante e fiori – chiara dimostrazione della possibilità di combinare felicemente decorazione e architettura.
Dopo un prolungato lavoro preliminare e un’infinità di progetti respinti, nel 1893 iniziarono in lavori per la costruzione della metropolitana di Vienna. Al fine di conferire a questo moderno mezzo di trasporto una forma adeguata ai tempi, nel 1894 Otto Wagner fu nominato consigliere artistico della Commissione Trasporti, responsabile dell’opera. Il suo compito atteneva alla definizione dello stile e del design che doveva improntare le stazioni i ponti, i viadotti e le infrastrutture in genere, fino all’arredamento dei vagoni. Per poter rispettare le scadenze imposte, Wagner aprì il proprio studio – che già comprendeva Hoffmann e Olbrich – alla collaborazione di circa settanta persone dando vita alla prima cellula dell’architettura moderna.
I frutti di questa questa collaborazione artistica furono strabilianti, sebbene l’insensibile burocrazia viennese del periodo successivo alla prima guerra mondiale, ne abbia distrutto una parte importante.

La stazione di Karlsplatz è contraddistinta dalla presenza due padiglioni posti l’uno di fronte all’altro sui due lati dei binari. A differenza della altre stazioni, le cui rifiniture erano eseguite in gesso, questi due padiglioni presentavano uno scheletro in acciaio rivestito di lastre di marmo all’esterno e lastre di gesso all’interno. Tali lastre recano impresso un motivo a girasole che ricorre anche nel frontone semi circolare. Il decoro Jugendstil-secessionistico dona a queste due costruzioni ""funzionali" un carattere quasi sfarzoso.
"Si può star certi che l’arte e gli artisti sono sempre rappresentativi della loro epoca". Con la chiesa di Steinhof, invece, costruita nel 1902, Wagner mise in pratica le proprie concezioni modernistiche nel campo dell’architettura sacra; nonostante l’estrema cura per l’aspetto estetico, anche questo edificio religioso è anch’esso caratterizzato da un vigoroso funzionalismo.
La "nascita": la sede della Österreichische Postsparkasse
Che Wagner fosse un "costruttitivista funzionalista" risulta con evidenza nella sua opera più celebre – la sede della Österreichische Postsparkasse, a Vienna – sia dai dettagli sia dalla concezione dello spazio principale della sala degli sportelli.

"Il tetto della sala degli sportelli, un’arcuata epidermide vitrea, è sospeso a supporti che formano un reticolo a vista, a mo’ di soffitto. Il principio del ponte sospeso è qui, forse per forse per la prima volta, applicato alla costruzione di un tetto. L’esperimento non funzionò, perché Wagner non aveva protetto l’epidermide vitrea con un secondo strato analogo.
Secondo interpretazioni successive, Wagner si sarebbe deciso in questo senso perché altrimenti il principio della struttura sospesa sarebbe risultato meno visibile. Dal corridoio della grande sala , era possibile in origine, scorgere con lo sguardo, attraverso le finestre, la struttura sospesa; oggi dallo stesso punto si scorge soltanto lo spazio tra il nuovo tetto e il relativo rivestimento sospeso. Anchè così la sensazione è sensazionale.

Wagner assieme all’equipe dei suoi collaboratori, si incaricò anche della progettazione degli interni della Österreichische Postsparkasse.
Da questo momento in poi, Wagner, "l’artista dell’edilizia", adotta materiali nuovi e non convenzionali come l’alluminio e riveste le facciate dei suoi edifici con sottili lastre di marmo, come nel caso della stazione della metropolitana di Karlsplatz. Il nuovo materiale sale alla ribalta nell’edificio che ospita l’ufficio spedizioni del quotidiano "Die Zeit": la struttura in ferro dell’ingresso fu rivestita di lamiera di alluminio, ed è proprio per aver conferito un ruolo decisivo a questo "neonato" materiale che tale edificio occupa un posto di primo piano nella storia dell’architettura.
Tra i successivi esperimenti architettonici figurano un negozio di specialità gastronomiche, con un ingresso laccato bianco il "Loos-Portal", mentre la facciata-tempio del negozio di gioielleria SPitz resistette fino alla metà degli anni Trenta.
 "Tutte le creazioni moderne che vogliano risultare adeguate all’umanità moderna devono fare i conti con i nuovi materiali e le nuove esigenze del presente."
La linea innovativa che caratterizza il portale dell’ufficio spedizioni del "Die Zeit" si accordava in pieno con l’impostazione del giornale, nato dall’esperienza del settimanale omonimo con l’obiettivo di tenere di tenere informato il proprio pubblico riguardo i rapidi sviluppi nel campo dell’arte e dell’attualità. Qui, Wagner "superò" lo stile Secessione.
Last Updated ( Nov 08, 2007 at 10:06 PM )


martedì 7 settembre 2010


Pierluigi Nervi. L'architettura molecolare
Sondrio - Galleria Credito Valtellinese
Dal 15 aprile al 20 giugno 2010

A 30 anni dalla scomparsa, Pierluigi Nervi celebrato nella sua città natale
La sapienza di coniugare arte e scienza, tecnica ed eleganza, senza mai perdere di vista funzione e costi, è la cifra che ha contribuito a fare di Pierluigi Nervi uno dei più grandi architetti del Novecento italiano e internazionale.
Sondrio, la sua città natale, rende omaggio a Nervi con una mostra nel trentennale della morte avvenuta a Roma nel 1989. A volere questo omaggio è il Credito Valtellinese che propone la mostra dal 15 aprile al 20 giugno presso la "Galleria Credito Valtellinese" di Sondrio.
Pierluigi Nervi: Sala Udienze Pontificie, Vaticano
Pierluigi Nervi: Sala Udienze Pontificie, Vaticano
Pierluigi Nervi: Hangars, Orvieto
Pierluigi Nervi: Hangars, Orvieto
Palazzo dell'acqua e della luce, Roma

Pierluigi Nervi: Salone delle Esposizioni, Torino
Pierluigi Nervi: Salone delle Esposizioni, Torino
Pierluigi Nervi: Grattacielo Pirelli, Milano
Pierluigi Nervi: Grattacielo Pirelli, Milano
La mostra mette in luce, attraverso fotografie e progetti, la complessa attività di Nervi che si manifesta in molteplici aspetti che vanno dall'ideazione alla realizzazione delle sue opere architettoniche. Da architetto-artista privilegiava materiali come il calcestruzzo e il ferro-cemento che riusciva a plasmare con grande abilità grazie alla sua profonda conoscenza delle tecniche costruttive. La mostra si sviluppa intorno a 120 riproduzioni in alta definizione di materiale documentario, fotografico, progettuale e grafico relativo all'opera e alla figura dell'architetto. Un percorso che illustra e documenta le opere più significative progettate e realizzate da Nervi: disegni originali di progetto e delle strutture, documentazione fotografica, materiale autobiografico.


Pierluigi Nervi nasce a Sondrio nel 1891, da Antonio e da Luisa Bartoli. In seguito alle mobilità del lavoro paterno, direttore di un ufficio postale, si iscrive alla Facoltà di Ingegneria di Bologna dove ottiene la Laurea in Ingegneria Civile. Successivamente (1913) lavora per circa 10 anni nell'Ufficio Tecnico della "Società per Costruzioni Cementizie" (Bologna).
A seguito della I Guerra Mondiale (1915-18) viene richiamato nell'Esercito come Ufficiale del Genio.
Nell'arco del tempo 1920-1932 fonda un proprio studio a Roma con l'Ing. Nebbiosi. Nell'anno 1924 sposa Irene Calosi dalla cui unione Nascono quattro figli: Antonio, Mario, Carlo, Vittorio, tre dei quali parteciperanno all'attività del padre di progettazione e realizzazione di opere edilizie a partire dagli anni '50.

Tra le architetture fondamentali nel suo lungo percorso professionale non possono non essere citate lo Stadio di Firenze, il Palazzo del Lavoro per Italia '61 a Torino, il Palazzetto dello Sport di Roma, la Cattedrale cattolica di San Francisco, la sede dell'UNESCO a Parigi, il grattacielo di Australia Square a Sidney e quello di Victoria Square a Montreal, l'Ambasciata d'Italia a Brasilia, il "Pirellone" a Milano (con Danusso e Ponti), le realizzazioni per le Olimpiadi romane del 1960, sino all'opera forse più famosa la Aula Nervi in Vaticano voluta da Paolo VI per le udienze papali.
La mostra è accompagnata da un catalogo con testi di Antonello Alici, Giacomo Barucca, Giovanni Bellocci, Andrea Tito Colombo e Franco Mola.



Renzo Piano


Biografie
Renzo Piano
A cura di Matteo Agnoletto (Renzo Piano Building Workshop)
"Personalmente trovo che la mia voglia di esplorare sentieri non battuti vada perfettamente d'accordo con la mia riconoscenza nei confronti della tradizione. Forse questo è un tratto europeo, forse è specificatamente italiano. Certamente è l'eredità di una cultura umanista".
Nato a Genova il 14 settembre 1937, laureato al Politecnico di Milano nel 1964, dopo le esperienze presso Franco Albini, Marco Zanuso, Louis Kahn e Makowskj, inizia l'attività progettuale con una serie di studi sperimentali sulle strutture spaziali a guscio e sui sistemi costruttivi innovativi, avendo come riferimento l'amico e maestro francese Jean Prouvé. Questi primi progetti, tra i quali un padiglione per la XIV Triennale del 1966, vengono pubblicati su Domus e Casabella alla fine degli anni sessanta, permettendo a Renzo Piano di affermarsi sul panorama nazionale, ottenendo la possibilità di realizzare il padiglione dell'industria italiana all'Expo di Osaka nel 1969.
Dal 1971 inizia la collaborazione con Richard Rogers, nella società Piano&Rogers, e dal 1977 con Peter Rice, con la Piano&Rice Associates: è il periodo del Centre Georges Pompidou, uno dei progetti più discussi degli ultimi trent'anni.
Centre Georges Pompidou, Parigi
Renzo Piano
Centre Georges Pompidou, Parigi
Prima di elaborare proposte su larga scala attraverso interventi di notevole effetto, la fase di studio sui centri storici e sul recupero del paesaggio, da Otranto all'isola di Burano fino ai progetti per il porto antico di Genova, per Rodi, per La Valletta, per Pompei e per i Sassi di Matera, dimostra l'interesse e la sensibilità verso un approccio operativo non esclusivamente high-tech, come molta critica mal informata tende ad etichettare e a liquidare una produzione architettonica molto più complessa.
Da allora l'intensissima attività progettuale, supportata dagli studi di Parigi e Genova, costituendo dal 1981 il Renzo Piano Building Workshop, mirata all'uso di materiali e tecnologie all'avanguardia, permette di realizzare edifici e complessi urbani in tutto il mondo: lo stadio S. Nicola a Bari (1987), l'aeroporto di Osaka (1988), la Cité Internationale di Lione (1991), il Museo della Scienza e della Tecnica ad Amsterdam (1992) , il ridisegno della Postdamer Platz a Berlino (1992) , il Centro Tjibaou per la cultura Kanak a Noumea (1992), la Banca Popolare di Lodi (1993), il Design Center della Mercedes Benz a Stoccarda (1993), l'Aurora Place a Sidney (1996), la Telecom Tower (1997) a Rotterdam.

Kansai Air Terminal - Osaka, Japan
Renzo Piano
Kansai Air Terminal - Osaka, Japan

Kansai Air Terminal - Osaka, Japan

Renzo Piano
Kansai Air Terminal - Osaka, Japan
Di Rodin, sempre provenienti dal Museo Rodin di Parigi, vengono anche presentati 37 disegni e acquerelli "erotici", il prestito più consistente mai concesso dal museo francese.
Tjibaou Cultural Centre Nouméa, New Caledonia
Renzo Piano
Tjibaou Cultural Centre Nouméa, New Caledonia

Questi alcuni dei progetti di rilievo, nell'inutilità di redigere un elenco completo e preciso o una mappa della geografia dei suoi lavori, alla quale è possibile fare riferimento nello sterminato materiale pubblicato sulla sua intera opera.
Mostre dedicate alla sua attività sono state allestite nelle principali città dell'Europa e degli Stati Uniti d'America, a Tokyo e in Australia. Tra i principali riconoscimenti internazionali si ricordano: l'Honorary Fellowship Riba a Londra (1986), la Legione d'Onore a Parigi (1985), la Riba Royal Gold Medal for Architecture (1989), il titolo di "Cavaliere di Gran Croce", il premio Imperiale a Tokio (1995) e il premio Pritzker (1998). Dal 1994 è ambasciatore dell'UNESCO per l'architettura.
Numerosi sono anche i riconoscimenti universitari (visiting professor alla Columbia University di New York, alla Architectural Association di Londra, laurea honoris causa ricevuta dalle Università di Stoccarda e Delft) e quelli in concorsi nazionali ed internazionali, gli scritti, non incentrati sullo sviluppo di teorie o modelli, ma mirati alla conoscenza del "mestiere", i libri ("Dialoghi di cantiere" e "Giornale di Bordo"), le interviste sui quotidiani di tutto il mondo, i progetti per allestimenti e mostre.
Una grande antologica allestita nel 2000 al Beaubuorg e al Museo d'Arte di Berlino ha ripercorso tutta la sua attività progettuale, mostrando le tecniche di approccio al lavoro, i sistemi di sviluppo del progetto e i modi di rappresentazione, l'organizzazione del Workshop e dei vari cantieri, dalla piccola alla grande scala.
Tra i progetti in costruzione si ricordano l'Auditorium a Roma, la chiesa di Padre Pio a S. Giovanni Rotondo, l'Auditorium di Parma, la Bolla a Genova e gli uffici Hermes a Tokio, la nuova sede de IlSole24ore a Milano. In fase di studio tra i progetti americani: la sede del New York Times a Manhattan, il Woodruff Arts Center ad Atlanta, l'Accademia di Scienze Naturali a S. Francisco, il museo Nasher a Dallas e lampliamento 'della Morgan Library a New York. Oltre a un quartiere residenziale a Lisbona, un centro polifunzionale a Nola, il Museo Klee a Berna.
Al di là degli incarichi di rilievo e della realizzazione di numerosissimi progetti, l'idea di bottega, di ricerca e di approccio al lavoro attraverso tecniche tradizionali quali il disegno a mano, lo sviluppo di modelli di studio, la creazione di make-up in scala 1:1 costituiscono un naturale sistema di organizzazione ancora funzionale, pratico e legato a operazioni colte di intendere un mestiere svincolato dall'accademia e da supporti esclusivamente teorici di intendere l'architettura.
"Quando mi chiedono come sarà la città del futuro, io rispondo: spero come quella del passato."
GINEVRA PORTO ANTICO
 

Principali progetti completati:
Centro culturale Georges Pompidou, Paris, Francia, (Piano & Rogers)
Museo per la Collezione de Menil, Houston, U.S.A.
Stadio di calcio S.Nicola, Bari, Italia
Ristrutturazione del Lingotto, Torino, Italia
Aeroporto internazionale del Kansai, Osaka, Giappone
Risistemazione dell'area del Porto Antico, Genova, Italia
Risistemazione della Potsdamer Platz, Berlino, Germania
Centro Culturale Jean Marie Tjibaou, Nouméa, Nuova Caledonia
Le Torri, Aurora Place, Sydney, Australia
Torre Hermès, Tokyo, Giappone
In fase di cantiere avanzato:
Nuova Chiesa per Padre Pio, San Giovanni Rotondo, Foggia, Italia
Auditorium Roma, Italia
In fase di progettazione:
Nuova Sede del giornale "Il Sole 24 ore", Milano, Italia
Ampliamento dell'Art Institute of Chicago, Chicago, U.S.A.
Nasher Scuplture Garden, Dallas, U.S.A.
Ampliamento del Woodruff Arts Center, Atlanta, U.S.A.
London Bridge Tower, Londra, Gran Bretagna


KENZO TANGE OPERE


PARCO DELLA PACE
HIROSHIMA
In un clima in cui lo studio della funzione appare come il più aderente alla necessità del momento, viene realizzata la prima opera di interesse internazionale di Tange: il Parco della Pace ad Hiroshima.
Tange, durante il suo lavoro di assistente di Mayekawa, aveva già realizzato varie opere, fra cui una discussa casa per se stesso nel quartiere Setagaya a Tokyo, dove già si avverte chiaramente il tentativo di fusione dell’architettura moderna con la tradizione giapponese, di cui permane più di un elemento, dai pannelli opachi o traslucidi all’organizzazione generale dell’appartamento basata su una modulazione dove però alle classiche dimensioni del Tatami (0.99 x 1.98), vengono sostituite le misure base del Modulor lecorbuseriano.
Ma è con il complesso del Parco della Pace che Tange acquista notorietà internazionale: questa opera assume infatti nella storia dell’architettura moderna giapponese un valore essenziale, sia per il suo autonomo valore espressivo che per il suo significato – come anche osservatori esterni dei paesi occidentali ebbero modo di riconoscere – segnando veramente una svolta nel panorama, corretto ma poco pregnante, delle esperienze nipponiche degli anni ’50.
Non sarebbe comunque corretto riconoscere nel Parco della Pace di Tange unicamente un’opera di rottura: essa lo è certamente, ma costituisce nel contempo un esempio di continuità con la linea culturale del movimento razionalista giapponese, e di una continuità preoccupata di verificare criticamente, di portare sino all’estremo, di chiarificare metodologicamente il significato di quel razionalismo, i suoi stessi limiti, se si vuole. Ma proprio tale verifica conduce Tange ad un superamento dei dati iniziali della ricerca.
Il progetto, realizzato in base ai risultati di un concorso internazionale bandito nel 1946, si inserisce nella città rimasta a testimoniare per il Giappone – con la sua stessa presenza, con il suo squallido aspetto determinato dall’alternarsi di vaste aree bombardate e di nuovi quartieri costruiti in fretta e senza mezzi, con quanto il suo nome medesimo sta a significare nella storia nazionale e del mondo – uno dei più drammatici epiloghi della seconda guerra mondiale : epilogo che per il popolo giapponese ha un contenuto particolare, poiché da esso parte la sua storia più recente, da esso partono le sue stesse conquiste democratiche.
Il programma edilizio del Parco della Pace è significativo a tale riguardo: un centro civico, un padiglione per esposizioni, un museo, un monumento commemorativo (Il Memorial della Morte). Una serie di edifici per la vita, per i contatti sociali, in omaggio ai caduti ma ancor di più come monito per le nuove generazioni, come indicazione per la sua storia futura.
Tange aderisce con estrema puntalità al programma del complesso: non era il momento – né la dimensione del complesso lo permetteva- di abbandonarsi ad esasperazione espressionistiche che avrebbero facilmente potuto degenerare nell’evasivo. Tutta l’attenzione andava rivolta al futuro, senza facili e gratuiti ottimismi , ma anche con una fiducia che era una dichiarazione esplicita di impegno. Così gli edifici di Tange, realizzati con cemento armato a vista e sollevati da terra mediante una sistema di pilotis, richiamano da un lato l’essenzialità espressiva ed il rigore dell’architettura lecorbusieriana, dall’altro – nell’uso degli elementi strutturali e di tamponamento secondo rapporti e modulazioni più o meno esplicitamente riferite ai modelli dell’architettura tradizionale – pongono alla base di tale impegno per il futuro una riconsiderazione del passato, del suo valore storico. Tale istanza diviene più evidente, in termini architettonici, proprio nel monumento in cemento armato, posto ad una certa distanza dai tre edifici principali allineati – andrebbe notata, a questo proposito, la ieraticità dello stesso impianto urbanistico – che, con la sua plastica forma curva, rievoca l’organismo preistorico della casa giapponese, secondo i modellini conservati nei musei archeologici. Il passato ed il futuro si toccano : la dialettica fra la forma espressiva del Memorial e la secca, contenuta, scarna essenzialità del palazzo per esposizioni, del museo e del centro civico ci sembra costituire il valore più alto del complesso di Tange.
Con il Parco della Pace, per la prima volta il Giappone parla un linguaggio personalizzato e preciso, anche se il vocabolario di quel linguaggio può, con un’arida analisi filologica, essere riconosciuto come derivato da molteplici fonti del movimento moderno internazionale : ma si può senz’altro affermare che è nuovo il modo di organizzare quegli elementi, lo spirito con il quale essi vengono messi in opera e formati. Ma c’è di più : quella che era stata in un primo tempo accettazione meditata ma non ancora matura, nel Parco della Pace è divenuto, al contrario, riconoscimento della correlazione fra due tradizioni – quella giapponese e quella dell’architettura moderna – in una proposta operativa di nuova integrazione, tale da superare ogni sterile polemica sulla necessità o meno di una via nazionale al movimento moderno.
Anche qui va notato il grado di maturità con cui viene condotto l’esperimento, specie in rapporto alla serie dei tentativi falliti dalla cultura architettonica italiana (ma lo stesso vale per molti paesi europei o americani) in cui il problema della storicità e della “tradizione” finisce per scadere in populismi o in evasioni deprecabili.
Comunque un’opera di così evidente rottura, apparendo su una scena architettonica di tono già abbastanza elevato ma indeciso, quale quella giapponese, provoca immediatamente una serie di violente polemiche che hanno il merito di promuovere un riesame critico della cultura architettonica, come si può leggere direttamente nelle esperienze di quegli anni.

 MUNICIPIO DI TOKYO
 Con l’ufficio municipale di Tange si chiude un capitolo e se ne apre un altro: si chiude il capitolo delle ricerche di approfondimento sui dati metodologici e sul repertorio offerti dalle esperienze internazionali, si chiude altresì il capitolo dello sperimentalismo più affannoso che domina gli anni ’53 - ’57, e si apre un capitolo nuovo che vede il fiorire e lo svilupparsi delle tematiche e delle realizzazioni che hanno concentrato sul Giappone l’interesse della cultura internazionale. Nel municipio di Tange tale caratteristica di ponte verso esperienze più radicalmente rivoluzionarie è abbastanza evidente. Sia nella schematicità dell’organismo, dove il blocco allungato degli uffici ed il volume della sala di riunione si giustappongono meccanicamente, che nella rigidità e secchezza dei dettagli, della struttura, della modulazione delle facciate, si può riconoscere ancora la durezza delle prime opere di Tange; in particolare degli edifici per il Parco della Pace ad Hiroshima. Ma già l’organizzazione degli elementi e la loro integrazione nell’unità dell’organismo dimostrano un’attenzione diversa, uno spirito nuovo : la contrapposizione, all’interno della medesima articolazione volumetrica di per sé solidamente definita, di due zone diverse – quella basamentale, direttamente rapportata al giardino, alla strada, allo spazio pedonale, e quella in elevazione in cui si sottolinea marcatamente la funzione più specificamente urbana dell’edificio – diviene determinante e prende sostanza in un disegno vigorosamente unitario, dove la ripetizione insistita del medesimo modulo della loggia è commentata dalla profonda zona di ombra inferiore e dal vario dislocarsi delle rampe esterne.
Ma in tale dialettica figurativa è leggibile un atteggiamento polemico di Tange nei confronti del funzionalismo più o meno ortodosso che in Giappone aveva ormai preso largamente piede. Se da un punto di vista rigorosamente critico possiamo considerare ingenue le affermazioni di Tange che “lo spazio precede la funzione” o che “solo le cose belle sono funzionali”, nella traduzione operativa di quei concetti va invece riconosciuta una maturità eccezionale, che gli fa evitare ogni velleitarismo ed ogni tentazione di evasione. Lo stretto legame fra impostazione figurativa e programma civile è sottolineato d’altronde, dalla stesso Tange, nella critica al modello americano di palazzo comunale, ridotto ormai ad un’anonima struttura burocratica. Egli scrive al proposito : “Ci sembra al contrario che il Municipio debba riprendere il suo ruolo iniziale che è quello di richiamare la popolazione allo sforzo comune. Ora questa tradizione non è mai esistita in Giappone dove edifici simili rappresentavano innanzi tutto il potere. Noi abbiamo voluto, come architetti, aiutare il popolo a questa presa di coscienza facendo veramente di questo insieme del Municipio di Tokyo il centro spirituale della nostra capitale. Così la hall dell’ingresso che non è monumentale qualora se ne considerino le dimensioni, ha lo scopo di accogliere il pubblico, e la galleria al mezzanino riservata ai pedoni, che costituisce un elemento di legame fra la città e l’edificio, risponde a questa medesima esigenza psicologica, di invitare la popolazione a raggrupparsi attorno al simbolo della città stessa”.
Così la forma plastica del volume contenente la sala del Consiglio, posto come elemento mediatore – in realtà come fuoco – fra il blocco degli uffici amministrativi e la torre retrostante non ancora realizzata per gli uffici generici, assume un significato simbolico (non simbolistico) come elemento qualificato dell’intero complesso. Si può quindi indicare come punto fermo del Municipio di Tokyo il problema di un recupero dei valori comunicativi dell’immagine architettonica, nella ricerca di un’espressività direttamente inserita da un lato nell’organismo stesso della città, dall’altro nella flagrante situazione politica e sociale.
Tale riscatto della “semanticità dell’immagine” corrisponde non solo ad un’esigenza che negli ultimi tempi è divenuta essenziale nel dibattito internazionale, ma anche ad una serie di istanze interne alla cultura moderna giapponese, che dopo aver raggiunto un livello autonomo di maturazione sentiva di poter trovare nella propria storia e nella propria tradizione, le metodologie e gli stimoli capaci do offrire alternative o soluzioni ai problemi cui il movimento moderno europeo o americano stentavano a dare risposta.
Si presentava ancora una volta, la necessità di una sintesi da realizzare tramite “l’unità contraddittoria delle culture” : per i giapponesi si trattava di dare un contenuto nuovo, autonomo, progressivo, a quella “affinità elettiva” fra architettura moderna e architettura nipponica tradizionale che abbiamo già avuto modo di riconoscere.


critica kenzo tange


Abbiamo già valutato le prime opere di portata internazionale di Kenzo Tange come ricerche valide soprattutto per la decisa rottura con la tradizione codificata e con il manierismo razionalista dell’architettura giapponese del primo dopoguerra. Indubbiamente la figura di Tange assume, nel panorama generale della cultura architettonica nipponica, un valore stimolante del tutto unico.
Si possono muovere molte critiche alla sua metodologia operativa in continuo fermento, talora troppo preoccupata di approdare a nuovi risultati espressivi tanto da trascurare il necessario approfondimento critico, si possono denunciare i limiti della sua ansia espressiva che lo obbliga ad una continua tensione, pena lo scadere in una scialba maniera di se stesso, si può lamentare il formalismo che pervade la sua ricerca; ma tutte queste critiche non intaccano l’eccezionale portata del suo insegnamento che si espone a tutti i rischi di ogni operazione di rottura.
“La realtà dell’odierno Giappone – osserva Kenzo Tange – in quanto parte di una più ampia realtà internazionale storicamente condizionata , ha assunto una sua forma individuata dalle tradizioni giapponesi. Vivendo in questa realtà, difficile ad essere inglobata in nuove prospettive di metodo, dobbiamo considerare insistentemente quelle tradizioni. D’altronde, se i problemi del presente non fossero così pressanti, noi potremmo accettare la tradizione tranquillamente senza troppe riflessioni, come un costume ereditario o qualcosa al di fuori della storia. Solo se si adotta un atteggiamento rivolto verso il futuro si realizzano le condizioni per le quali la tradizione esiste ed è viva. Perciò solo questo atteggiamento può porre termini di confronto e di superamento nei riguardi della tradizione”.
“Tali strumenti, né elaborando grandiosi schemi per il futuro, né operando passivamente, si compromettono con il passato, ma rendono consapevoli che il compito più vitale del presente è di integrare fattivamente insieme passato e futuro”.
Durante la realizzazione del Centro della Pace e del Municipio di Tokyo, Kenzo Tange aveva portato a termine altre opere di grande interesse anche se non altrettanto innovatrici. Nel 1954 aveva terminato la costruzione del Municipio di Shimizu nel quale aveva elaborato l’originale modello di edificio amministrativo che troverà la sua massima espressione nella Prefettura di Kagawa nell’isola di Shikoku. A Shimizu, infatti, troviamo già la suddivisione dell’organismo in due corpi distinti, uno più basso per gli uffici a diretto contatto con il pubblico, ed uno sviluppato in altezza con accesso riservato ai soli impiegati.
E’ evidente nel Municipio di Shimizu la fedeltà all’international style, ancora leggibile in altre opere di minore portata come la tipografia di Numazu o la biblioteca del collegio di Tsuda nei pressi di Tokyo, nelle quali tuttavia Tange trova modo di sottolineare volta per volta le possibilità espressive della struttura e della ripetizione degli elementi modulari e dell’organismo nella sua elementarietà, accentuando sempre membrature capaci di ricondurre ad una sintesi le varie parti dell’organismo architettonico.
Così, nella biblioteca per bambini, inserita in un secondo tempo nel complesso del centro della Pace ad Hiroshima, il fungo strutturale centrale intorno al quale si sviluppa l’involucro spaziale perde qualsiasi caratteristica velleitaria o esibizionistica, assumendo invece un particolare valore poetico per la nitidezza e l’immediatezza con cui è offerto.
Ma con il Municipio di Kagawa, finito nel 1955, Tange approfondisce la sua ricerca sull’integrazione di linguaggio moderno e repertorio tradizionale che abbiamo già riconosciuto negli uffici municipali di Tokyo.
“Nel progettare l’edificio della Prefettura di Kagawa – scrive Tange – noi di proposito abbiamo deciso di separare i suoi servizi dalle altre funzioni e di piazzarle in un luogo dove tutti gli impiegati agli uffici possono usarli con facilità. Così abbiamo disposto tutti i servizi al quarto piano dell’edificio alto (questo piano si apre al livello del blocco più basso, per permettere l’uso del tetto), ricreando l’unità dell’organismo in una sorta di piano di ricreazione”.
L’edificio composto di due volumi geometricamente semplici, contrapposti per forma e dimensione – quadrato ed alto il corpo degli uffici, rettangolare e basso quello contenente la sala delle assemblee – viene frantumato nella sua stereometria dall’intervento delle logge che creano, specie nel corpo alto, una continua vibrazione luminosa contrappuntata dagli elementi strutturali cementizi, usati come memorie della tradizionale struttura lignea.
Alla prepotente definizione volumetrica si oppone, dunque, un’espressività che sembra rievocare la fragilità delle strutture dell’antica architettura giapponese, e l’accostamento delle due diverse dimensioni storiche acquista una valore particolare, giacché quella rievocazione, palesemente sottolineata, non si sovrappone all’organismo ma ne è parte determinante. Nel contrappunto creato dalla definizione volumetrica e dalla vibrazione continua delle membrature cementizie, si legge tuttavia un contrasto non risolto. In effetti la memoria della struttura lignea riprodotta nelle strutture cementizie soffre di un certo grado di meccanicità che toglie forza all’immagine architettonica. Lo stesso Tange troverà poi la strada atta a superare la contraddizione: si veda ad esempio il Municipio di Kurashiki.
“La tradizione architettonica giapponese, - ha scritto Zevi – è fondata su tecniche e materiali antitetici al cemento armato. La struttura ad ossatura può essere facilmente trasferita dal legno all’acciaio e, nel passaggio, la configurazione artistica di linee e pannelli trasparenti non subisce radicali alterazioni. Ma la virtualità espressiva intrinseca al cemento armato è d’ordine plastico, curvilineo, fluente. Usare il cemento armato in pilastri e travi come se fosse acciaio, significa rinunciare a trarre da questo materiale “colato” il suo originale messaggio”.
Giudizio, questo, troppo settoriale, dato che non tiene conto del significato che a quella traduzione cementizia delle membrature lignee viene attribuito negli edifici del Centro della Pace o nel Municipio di Kagawa; a distanza di pochi anni, anche le ingenuità ancora presenti in quelle opere appaiono tappe di un processo di maturazione compiuto con stupefacente rapidità. Le durezze del Municipio di Kagawa sono se mai proprie ad un opera didascalicamente concepita, mai per noi assai importante come tappa del processo di sviluppo verso le più recenti esperienze di Tange e dell’architettura moderna giapponese.
Nelle opere sinora esaminate, l’elemento strutturale viene usato in funzione subordinata rispetto all’organismo; in altre è la struttura stessa che diviene protagonista espressiva, elemento determinante di un discorso che parte da una esaltazione delle funzioni statiche, per raggiungere più alti e complessi gradi di espressività.
Nella sala di riunione di Shizuoka estremamente indicativa a tale proposito, l’integrazione fra componente strutturale e organismo dà origine ad un’intensa drammaticità, dove scompare ogni residuo tecnicistico, assorbito e superato nell’unitarietà dell’ideazione.
Ugualmente nella sala di riunione Ehime a Matsuyama, lo spazio interno, dominato dall’ampia superficie voltata, assume un respiro di notevole valore espressivo, anche se l’esterno dell’edificio possiede una aggressività assai minore del consueto, grazie ad un troppo accentuato controllo degli elementi strutturali.
Nel centro artistico di Sogetsu a Tokyo Tange adotta un più pacato linguaggio, memore in alcune parti, del lecorbuseriano museo di Amhedabad: nel volume bloccato, nettamente individuato dalle vigorose fasce orizzontali cementizie, le bucature si inseriscono nel fronte principale come tagli o feritoie che danno vigore alla corposità della volumetria, mentre il lato posteriore si apre con fasce di finestre a nastro contrappuntate dal violento chiaroscuro generato dall’accentuata loggia del primo piano. Anche in quest’opera, può essere valutata positivamente la stretta integrazione di spazio, struttura e particolari, dove appunto l’intelaiatura strutturale, basata sui quattro massicci pilastri e le doppie travi denunciate all’esterno con decisione, preannuncia gli eccezionali risultati del Municipio di Kurashiki.
Ancora in tono minore è il complesso Sumi a Bisai, composto di uffici amministrativi dell’industria e di una sala pubblica, dove alle usuali partiture del corpo degli uffici si contrappongono le nude e suggestive superfici del memorial, dalle evidenti allusioni storicistiche.
Nel palazzo per uffici, costruito ad Osaka per la ditta di pubblicità Dentsu, Tange appare invece più rigoroso nell’asciutto trattamento del grigliato cementizio del brise-soleil che forma il tessuto della facciata, dove una serie di motivi accidentali – i due piani pieni, riservati agli studi della radio e della televisione, lo squarcio della hall di ingresso, le sovrastrutture con i macchinari e gli impianti – rompono la staticità monumentale del blocco, dominato peraltro da elementi simmetrici fortemente chiaroscurati. Una monumentalità in senso moderno – anche qui vediamo accolta la lezione lecorbuseriana – che egli non risolve però completamente nel palazzo Dentsu per una certa indecisione presente nella reticente accettazione dell’organismo come unità che costituirà invece la principale qualità delle opere migliori dell’ultimo Tange.
Con il complesso di Imabari nell’isola di Shikku, Tange inizia una nuova fase della sua attività. Progetato nel ’57 e terminato nel ’59 il complesso, composto di un blocco per uffici e di un auditorio pubblico, dimostra un uso assai più articolato e libero della sintassi già sperimentata nelle opere precedenti, ma contemporaneamente una spregiudicatezza di linguaggio che prelude alla stupefacente sintesi espressiva del Municipio di Kurashiki.
Di particolare interesse è la definizione di un’autonomia della spazialità esterna nelle facciate dell’auditorio, dove il sovrapporsi delle forme contenute nell’invaso aperto delimitato dai setti cementizi esprime una ricerca in gran parte svincolata dai modelli di riferimento lecorbuseriani.
 Nel 1960 Kenzo Tange termina il Municipio di Kurashiki, primo elemento di una più vasta sistemazione del centro amministrativo della città, inserito nel piano generale degli architetti Kishida e Takayama, che prevede la ristrutturazione di una grande zona della periferia e la conservazione del tessuto storico esistente.
L’inserimento del nuovo intervento nell’antico tessuto è risolto con strumenti espressivi di violenta brutalità, sia nella composizione dell’intero centro amministrativo, che nel trattamento dei singoli organismi, come per sottolineare l’assoluta incompatibilità di una moderna e democratica vita associata con le antiche strutture politiche sociali, di cui la minuta e fitta struttura urbana circostante, composta di piccole case unifamiliari tradizionali, costituisce una evidente testimonianza.
Così il primo violento contrasto provocato da Tange è di natura di natura dimensionale : una volta terminato il complesso, il panorama urbano creato dai due grandi volumi unitari del Municipio e dell’Auditorium, campeggianti in un grande spazio senza rapporto alcuno con la città circostante, risulterà alterato da una tensione drammatica, da un imperativo invito perché tutti considerino criticamente la propria condizione di cittadini e di giapponesi, e perché scelgano fra una moderna forma di vita e le strutture tradizionali.
La violenza espressiva è quindi conseguenza di una intenzione polemica condotta sul piano formale con una coerenza che difficilmente si trova in esperienze europee o americane, eccettuato sempre il “caso” Le Corbusier; qui intensità figurativa e partecipazione ideologica vengono talmente a coincidere da poter definire “epica” quest’architettura tesa a strappare decisioni piuttosto che consentire sentimenti. Scelta quindi la strada della violenza, Tange l’accentua fino all’estremo. Ogni suo interesse è dominato dalla tesi che egli vuol dimostrare; l’essenzialità in tal caso diviene indispensabile e Tange modella i suoi edifici come due grandi volumi nettamente individuati per la loro ostentata geometricità elementare (parallelepipeda quella del Municipio, parallelepipeda tronca quella dell’Auditorium) relaziolandoli in un rapporto mediato dalla grande piazza che li unisce e che contribuisce a dar loro il valore di due grossi objets trouvés .
L’essenzialità è così anche il principio informatore dell’organismo del Municipio: basato su di una semplice struttura concentrata in pochi punti per mezzo di grandi pilastri e modulato su di una magli omogenea di m. 1.80 di lato, esso si presenta come un blocco estremamente unitario, preciso e sintetico nella sua definizione volumetrica, nella vigorosa impostazione strutturale e nella schematica semplicità dell’impianto funzionale. Lo stesso organismo riecheggia motivi classici per la simmetricità assoluta raccolta intorno alla hall centrale a doppia altezza, che continua superiormente nella sala di riunioni e con l’Auditorium en plein air, denunciato dalla secca forma geometrica che si stacca dal tetto dell’edificio.
Ma ecco che la stessa compattezza volumerica viene violentata, come in un tentativo di frantumazione e di sminuzzamento decorativo, dal trattamento delle superfici e dall’impaginatura delle facciate che presentano una fitta ma profonda chiaroscuralità, con le feritoie aperte senza ordine apparente fra le maglie del rivestimento cementizio omogeneo e continuo su tutto l’edificio. Così le feritoie assumono un valore di smagliature nel minuto disegno delle listature di cemento, con un effetto che ricostruisce l’unità formale della parete. Si tratta di un’unita luministica basata sull’alterno vibrare della luce in una superficie dove pieni e vuoti si integrano vicendevolmente, dando luogo ad un complesso gioco figurativo che arricchisce e valorizza la poderosa volumetria del Municipio.
Nella dialettica fra tale raffinato tessuto e la corposa struttura del basamento (ripresa del trave finale che fa da parapetto alla terrazza superiore, su cui sono denunciate le travature portanti), si esprime una drammatica tensione, risolta solo nell’eccezionale unitarietà dell’organismo.
Il Municipio di Kurashiki si colloca fra le opere migliori di Tange e dell’architettura giapponese di quegli anni; è una tappa significativa di un discorso continuo che si svolge nell’approfondimento di una rigorosa tematica figurativa, volta alla ricerca di una eloquente espressività: anche qui va notato come alla violenta, decisa, brutale proposta di un nuovo ordine cittadino si integri una memoria, un richiamo ai valori della tradizione, come invito ad una sua reinterpretazione nell’ambito di una nuova visione del mondo e di mutati rapporti sociali. E’ per questo che l’elegante e complesso gioco delle facciate, col suo ricordo di tessuti lignei, non appare retorico o in dissonanza con la forza e l’ampiezza dell’organismo architettonico e della composizione urbanistica d’insieme.
“La tradizione giapponese – aveva scritto Tange – non può continuare a vivere con le sue sole forze, né può essere considerata in sé una fonte d’energia creativa. Affinché lo spirito della sua evoluzione divenga dinamico, io credo che dobbiamo anzitutto rigettare, distruggere la tradizione ...Noi cerchiamo una nuova libertà espressiva, simbolo di una società libera da regimi teocratici...Alla ricerca di una struttura logica sostituiamo quella di un equilibri plastico”.
Il recupero della storia attraverso una decisa rottura: questo che è uno dei più autentici obiettivi di Tange è perfettamente realizzato nel Municipio di Kurashiki, dove sono bruciati i residui allegorici ancora latenti nella Prefettura di Kagawa o nel palazzo Dentsu.
Ugualmente aggressivo è il progetto presentato da Tange al concorso internazionale per la nuova sede della Organizzazione Mondiale della Sanità a Ginevra, di cui egli è stato, senza dubbio, il vincitore morale (al concorso, svolto per inviti, il primo premio fu vinto dalla svizzero Jean Tschumi): un’idea la cui figuratività enfatizzata e la cui accentuata caratterizzazione non debbono essere state fra le ultime ragioni dell’insuccesso dell’architetto giapponese, giudicato da una giuria dalle palesi preferenze razionaliste.
Anche nel progetto per Ginevra esiste una carica simbolica che informa di sé l’intero organismo. La struttura, ancora una volta, viene esagitata e piegata ad assumere un ruolo figurativo determinante : una serie di poderosi setti cementizi ricurvi forma l’ossatura dell’edificio che si presenta con una sezione trasversale triangolare di rara energia.
Meno coerente appare Tange in un altro dei suoi successivi lavori: il Golf Club Totsuko nei pressi di Tokyo. Quest’opera ci interessa in modo particolare dato che per suo tramite è facile analizzare i limiti ed i pericoli di involuzione presenti nella posizione assunta dal gruppo rinnovatore.
L’edificio del Golf Club mostra chiaramente la corda del manierismo brutalista : e non per un intrinseco esaurimento di quella poetica o della metodologia che ne è alla base, ma per l’attenuata intensità espressiva con cui è condotta l’esperienza. Questo può sembrare un giudizio di tipo formalistico, ma a ben vedere risulta pertinente al caso in esame. Infatti l’esasperazione espressive di Tange risulta valida solo quando le sue enfatizzazioni e le sue esagitazioni strutturali partono da una flagrante polemica sociale e si mantengono in ogni momento ad un elevato grado di qualificazione, dentro quella polemica. Nel Golf Club l’architetto giapponese sperimenta la possibilità di applicazione della sua poetica ad un tema socialmente non impegnativo, esaminando le modificazioni da apportare all’elaborazione sintattica, nel passaggio da opere eccezionali – er la loro funzione nel tessuto cittadino o per le loro intrinseche caratteristiche funzionali – ai tipici temi di una current architecture.
Il Golf Club di Tokyo resta a dimostrare le grandi difficoltà di tale passaggio: conservando, infatti, la sua solita organizzazione degli elementi di linguaggio, Tange ne sperimenta un’applicazione basata su una più piana strutturazione figurativa, come ad indicare le possibilità di una metodologia estensibile e non impoverita nelle sue originarie qualità espressive. Ne deriva un formalismo completamente scarico di quella forza polemica cui alcuni elementi presi in sé sembrano stancamente alludere : l’ampia copertura ricurva che domina l’edificio e l’esasperazione strutturale dei sei grandi sostegni plasticamente modellati suonano stranamente poco pertinenti con l’organismo e con la definizione degli ulteriori elementi formali, ad onta della funzione predominante del binomio struttura portante-copertura.
Appunto nello svuotamento della carica simbolica di quelle immagini si evidenzia il fallimento del tentativo di Tange, che non è giusto imputare ad un ipotetico inizio di inserimento dell’architetto in un sistema, ma denuncia tutti i pericoli di un allentamento della carica espressiva ; con ciò abbiamo già rivolto un’implicita critica alla metodologia tangiana, dato che un metodo di operazione basato in gran parte sull’intensità emotiva non può costituire una proposta estensibile. Qui appaiono anche i limiti della nuova scuola giapponese che trova, come si è già notato, un proprio motivo di validità appunto nel manierismo: un manierismo tanto più valido quanto più si fa livello comune, pur ammettendo nel suo seno punte eccezionali, ma col pericolo costante della saturazione delle immagini.
Un discorso simile può essere ripetuto per l’Albergo di Atami nelle vicinanze di Tokyo, terminato da Tange nel 1962, che mostra un freddo stemperamento della poetica tangiana in un’opera superficiale ed occasionale.
Ma nelle sue proposte urbanistiche Tange riesce a forzare, se non a superare, i limiti della sua metodologia, come avremo modo di osservare in seguito.
Si può notare, anzi, che proprio da tali esperienze Tange sta derivando un rinnovarsi della sua metodologia di progettazione, come dimostrano i suoi ultimissimi progetti: più il nuovo edificio per la società Dentsu, in cui vediamo messo in opera in piccola scala la proposta di sistema midollare elaborata nel piano per Tokyo, o il grande stadio coperto per le Olimpiadi del ’64, che la biblioteca dell’Università Rikkyo, finita nel ’61, per la quale vediamo Tange impegnato nel problema dell’esaltazione di alcuni valori figurativi propri all’antico campus in cui il suo edificio si inserisce.
Negli impianti sportivi costruiti a Tokyo in occasione delle Olimpiadi del 1964 si nota, particolarmente nel Palazzetto dello Sport, che la soluzione delle strutture porta ad una volumetria carica di tensione che ripropone le caratteristiche dominanti dell'architettura tradizionale e del paesaggio giapponese in una interpretazione risolta e aggiornata con i materiali e le tecnologie attuali.
L'ennesima opera di Tange – il centro culturale Nichinan – è senza dubbio la più violenta delle sue architetture : qui il cemento armato in vista viene lacerato e trattato come una superficie tormentata dove le casuali e esagitate bucature contrastano con alcune slabbrate escrescenze che rendono il gioco dei volumi vicino ad una espressività informale, ripresa anche all’interno dell’Auditorium, dove il sipario dipinto da Toko Shimada secondo la tecnica dell’action painting si inserisce perfettamente nell’enfatizzata spazialità tangiana.
Il Centro di Comunicazioni Sociali a Kofu completato nel 1967 e comprendente una stazione radio, la sede di un giornale, uffici e un'area commerciale presenta una novità. Il centro è costituito da una struttura tridimensionale di sostegno all'interno del quale si possono inserire dei contenitori con funzioni diverse. I sostegni verticali sono formati da sedici cilindri cavi, di cinque metri di diametro, all'interno dei quali sono disposti ascensori, scale, tubazioni, cavi degli impianti tecnologici. Gli interassi sono variabili fino ad un massimo di 17 metri. L'assenza di sostegni intermedi permette l'inserimento di contenitori di dimensioni variabili di forma parallelepipeda attrezzati per assolvere a funzioni diverse.


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Il grande successo internazionale di Tange gli aveva fruttato l’invito alla Cattedra di Urbanistica del Massachusset Institute of Technology (il cui titolare era Pietro Belluschi), alla quale egli rimase dal settembre ’59 al febbraio ’60. Il tema proposto da Tange agli studenti del 5° anno, - lo studio di un nucleo residenziale per 25.000 abitanti, situato all’interno della baia di Boston – veniva impostato dall’architetto giapponese come analisi delle contraddizioni e degli sfasamenti provocati nel mondo moderno dalla velocità di trasformazione in atto nelle strutture sociali, che gli strumenti culturali, oggi in nostro possesso, non sono in capaci di controllare. Ma la discrepanza fra tecnica e bisogno di umanizzazione del mondo tecnocratico non è ritenuto male fatale ed inevitabile : Tange, al contrario, assegna come compito principale agli architetti moderni la soluzione di quel contrasto, “ma per arrivarci i metodi e la terminologia attuali sono inefficaci – egli scrive in Architecture d’aujourd’hui –è necessario creare un nuovo modello di insediamento urbano”.
“ La casa, la strada, il quartiere, questi differenti livelli di comunità, sono gli elementi che compongono la città. Ogni elemento deve avere un certo grado di unità e di perfezione e, nello stesso tempo, restare aperto verso il livello superiore per creare in tal modo una più ampia entità. Noi dobbiamo prendere in considerazione la conservazione dell’entità di ogni livello e, nello stesso tempo, dobbiamo rendere accessibili e comprensibili il valore ed il significato di ogni singolo elemento all’interno del sistema generale”.
“Quanto a trattare il problema dei legami fra le diverse funzioni della città, i mezzi moderni di trasporto introducono nuove possibilità : le autostrade. Ma la scala superumana di queste ultime manca di omogeneità con le forme architettoniche già esistenti : il che non significa naturalmente che la scala superumana debba essere rigettata”. Il problema sarà invece di fondere in un unico organismo urbano sia la nuova scala dimensionale propria alle moderne strutture di comunicazione, sia l’istanza dell’umanizzazione delle nuove tecnologie: una ricerca di fondo, tesa a dare una dimensione autenticamente sociale alle tecniche alienanti del mondo neocapitalista.

Sul tema proposto da Tange agli studenti del M.I.T., sette équipes di lavoro presentarono le loro conclusioni fra cui, quella che esaminiamo, venne giudicata come la più rispondente al pensiero dell’architetto giapponese.
La nuova città progettata dal gruppo prescelto è organizzata su di una gigantesca struttura primaria a sezione triangolare formata da grandi portali sostenenti due ordini di piattaforme : una verso l’interno della struttura primaria, che contiene vari livelli di strade di circolazione, l’altra verso l’esterno, sulla quale, anche qui a vari livelli, possono trovare posto gli edifici di abitazione ad elementi industrializzati. Alla base della struttura triangolare è organizzata poi la rete di circolazione principale composta, a sua volta, da tre livelli di diversi mezzi di comunicazione: la metropolitana sotterranea, l’autostrada ad un livello superiore ed una monorotaia appesa alla piattaforma principale.
Le arterie secondarie, dislocate alle varie altezze, si collegano inoltre per mezzo di rampe al livello principale di circolazione.
In tale organizzazione urbana si esprime una palese gerarchia di funzioni che corrisponde alle premesse teoriche impostate da Tange. La grande struttura triangolare determina un nuovo paesaggio alla scala della natura; in essa è pertanto strutturata ed integrata la scala superumana propria alle nuove tecnologie, mentre sempre all’interno della medesima struttura trovano posto la scala delle attività di masse e quella umana propria alla vita quotidiana e individuale.
“Le case – spiega Tange – formano insieme delle piccole strutture all’interno delle quali può anche essere cambiata la loro forma. A questo microscopico livello, i dettagli e la disposizione stessa della casa possono indifferentemente configurarsi secondo il gusto di ciascuno. Ciò significa che esiste la possibilità di distinguersi individualmente nell’ambito del sistema”.
Gli aspetti criticabili di questa ricerca e cioè la astrazione del tema chiuso in se stesso, l’isolamento a bella posta introdotto da ogni contingenza e da ogni legame con la città esistente sulla terraferma, l’indipendenza da ogni problema strettamente economico o legislativo, vanno giustificati dalla volontà di dar forma non ad un modello ripetibile e forse neppure ad una proposta da far divenire realtà nel tempo, bensì ad un metodo di reimpostazione dei problemi capace di stimolare nuove più avanzate ricerche da realizzare quando la società sarà divenuta cosciente delle loro necessità.

  • Il progetto di Boston costituisce la premessa teorica al progetto che Tange, insieme al suo gruppo di ricerca, proponeva nel 1960 per la riorganizzazione di Tokyo. Ancora un progetto utopistico, almeno nei limiti delle sue possibilità di attuazione, ma anche un progetto estremamente stimolante, come prova il grande interesse internazionale ottenuto e le discussioni da esso suscitate.
    Tange, nel reimpostare una fenomenologia della città contemporanea, parte subito da una dichiarazione di fiducia circa le possibilità ed i valori della metropoli che non ritiene, contrariamente a tutta la cultura anglosassone ed americana, fenomeno anormale dovuto esclusivamente agli squilibri dell’ ”insensata città industriale”. La comparsa, nel ventesimo secolo, di enormi agglomerati urbani, con popolazioni di 10 e più milioni di abitanti è considerata non più un male da curare con tentativi più o meno utopistici di negazioni della stessa struttura cittadina, ma rappresentano invece un salto qualitativo talmente notevole da rimettere in gioco tutti i presenti metodi di controllo urbanistico. Il caos e le paralisi, che dominano Tokyo come tutte le grandi città contemporanee, sono appunto conseguenza dell’assoluta inadeguatezza ed anacronismo degli strumenti di intervento elaborati dalla cultura e dalla società del nostro tempo.
    La rivoluzione tecnologica in corso è infatti per Tange causa di mutamenti nel sistema economico e nel sistema sociale che, avviando a forme di libertà più elevate, non sono da condannare di per se stessi : il problema sarà piuttosto di sottoporre a controllo quei mutamenti, in un’organizzazione che renda vitale e progressiva quella stessa rivoluzione tecnologica.
    Ma il problema più pressante ed evidente introdotto dai grandi fenomeni di produzione e di distribuzione propri ai nuovi cicli economici, tale da influenzare profondamente la stessa organizzazione della società, è quello della comunicazioni di massa.
    La parte di popolazione interessata a tali problemi di circolazione economica, la “popolazione industriale terziaria”, è quella che ha subito negli ultimi decenni il maggior incremento: le stesse grandi città stanno sempre più assumendo il carattere di centri decisionali e direzionali per l’economia e per l’organizzazione d’interi territori, quando addirittura, come Tokyo, della intera nazione.
    “Quello a cui mi riferisco con organizzazione non è una singola impresa – scrive Tange – e neppure è fisso, né limitato. Per contro un tipo di organizzazione che risulta dall’invisibile rete di comunicazioni determinate dalla rivoluzione tecnologica, ed è un’organizzazione aperta di cui è possibile qualunque combinazione di funzioni con funzioni, di funzioni con uomini, di uomini con uomini...Grazie ad una siffatta organizzazione le funzioni individuali si raggruppano così da formare la funzione complessiva d’una metropoli con dieci milioni di abitanti”.
    La componente base dell’organizzazione è la comunicazione che permette di ristabilire una rete di relazioni tali da integrare liberamente le varie funzioni sociali che lo sviluppo produttivo tende ad atomizzare sempre di più; le comunicazioni sia dirette (strade, ferrovie, metropolitane, ecc.) che indirette,(telefono)ricostituiscono un’unita ad un livello superiore di libertà di scambio che è caratteristica della nuova dimensione cittadina. La città quindi diviene un complesso aperto, mantenuto unitario dalla fitta e complessa rete di comunicazioni.
    “Tuttavia – afferma Tange – non stiamo cercando di ripudiare la Tokyo attuale e di costruire in sua vece una metropoli interamente nuova. Desideriamo invece dotare la metropoli di una struttura rinnovata che possa determinare il ringiovanimento. Non ci limitiamo, perciò, semplicemente a parlare di ridimensionamento, ma intendiamo stabilire una nuova direzione lungo la quale dovrebbe procedere questo ridimensionamento”. Ed enuncia i fini fondamentali della sua proposta:

  • Passaggio da un sistema centripeto radiale a un sistema di sviluppo lineare;

  • Reperimento dei mezzi per conglobare in una sola unità organica sia la struttura della metropoli che il sistema di trasporti e l’architettura urbana;

  • Attuare un nuovo ordine spaziale urbano capace di rispecchiare l’organizzazione aperta e la spontanea mobilità della società attuale.

  • Rifiutando l’organizzazione chiusa e centripeta della città, Tange rifiuta l’idea di un centro civico, anche a scala metropolitana, e propone al suo posto una complessa struttura lineare che chiama asse civico, tale da rendere possibile una configurazione destinata a svilupparsi longitudinalmente. L’asse civico diventa lo strumento più idoneo allo smaltimento dei presumibili cinque o sei milioni di persone che dovranno raccogliersi nelle zone direzionali delle città, potenziata ancor più come luogo di attività terziarie e residenziali per un numero di abitanti che, secondo le previsioni, si aggirerà sui quindici-venti milioni. L’asse civico è il cuore lineare della città nuova, elemento unificatore e coordinatore di trasporti e funzioni urbane, ossature fondamentale della nuova struttura: il sistema ciclico è composto da tre livelli di traffico, ripartiti secondo la velocità dei veicoli dai quali essi saranno percorsi e legati fra loro da maglie successive di allacciamento che servono quali punti di intercambio. In tal modo il sistema ciclico è composto da unità "in un certo senso simili alle vertebre di cui si compone la spina dorsale", tale da potersi sviluppare per unità successive ed in tempi successivi.
    Data la struttura dell’asse civico, la sua funzione di elemento base della ristrutturazione urbana e il suo valore simbolico della negazione della città chiusa, il suo punto di inizio dovrà coincidere con l’attuale centro di Tokyo dal quale poi si dovrà protendere verso il mare, eliminando così ogni pericolo di speculazioni fondiarie e recuperando nuovi valori spaziali e simbolici.

    La soluzione del problema residenziale nel progetto di Tokyo è quindi sostanzialmente un approfondimento del tema impostato nel progetto redatto in collaborazione con gli studenti del M.I.T. l’anno precedente. Dell’esperienza americana Tange conserva il concetto generale delle grandi strutture triangolari che determinano urbanisticamente ed espressivamente l’elemento fisso e collettivo, immutabile nel tempo e la cui rigidità corrisponde appunto alla scala superumana, mentre al loro interno, in corrispondenza di grandi piattaforme costruite a livelli diversi, l’individuo ha la possibilità di costruirsi la propria abitazione, secondo le proprie possibilità economiche ed il proprio gusto personale. Ecco quindi realizzato il massimo di libertà e flessibilità all'interno di grandi strutture organizzate che assicurano il miglior collegamento dei vari nuclei con l'intero organismo cittadino


 

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